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Sovrappeso e obesità in età pediatrica sono il risultato di molteplici fattori, tra cui uno stile di vita sedentario, una scarsa educazione alimentare, influenze genetiche e ambientali. È cruciale instaurare fin da giovani abitudini alimentari corrette, non solo per favorire la crescita ottimale, ma anche come misura preventiva contro l’obesità e le complicazioni legate alla malnutrizione.
Il connubio di uno stile di vita poco attivo e una conoscenza limitata sull’alimentazione rappresenta un elemento chiave nell’insorgenza dell’obesità tra bambini e adolescenti. I fattori genetici e ambientali si uniscono a questa equazione, contribuendo all’aumento di peso durante la crescita.
Nel contesto pediatrico, l’obesità può generare fenomeni di bullismo e comportare gravi rischi per la salute, come ipertensione, dislipidemia, depressione e un aumentato rischio di cancro in età adulta. Gli adolescenti, in particolare, sono più suscettibili a malattie legate all’obesità, con l’obesità addominale che rappresenta un fattore di rischio significativo.
Le implicazioni sanitarie e sociali dell’obesità comportano costi elevati, con un aumento significativo della sua prevalenza negli ultimi decenni. La prevenzione dell’obesità in età pediatrica diventa essenziale per contenere questa epidemia mondiale.
Le tematiche affrontate includono la nutrizione materna e paterna durante la gravidanza, i fattori che predispongono all’aumento di peso in età pediatrica e strategie di intervento nell’obesità pediatrica. Il monitoraggio regolare dello stato nutrizionale dei bambini è fondamentale per garantire una crescita ottimale e identificare eventuali patologie in fase precoce.
I bambini, soprattutto quelli sotto l’anno di età, sono particolarmente vulnerabili a patologie legate alla malnutrizione, a causa delle basse riserve nutrizionali, delle elevate richieste per la crescita e dello sviluppo rapido, sia fisico che cerebrale.
Gli effetti dello stato nutrizionale e dello stile di vita durante la prima infanzia si manifestano a lungo termine, influenzando il rischio di sviluppare malattie come osteoporosi, problemi cardiovascolari, diabete mellito, ipertensione e dismenorrea nelle femmine.
La malnutrizione si divide in sottopeso o malnutrizione per difetto e sovrappeso o malnutrizione per eccesso. Attualmente, la malnutrizione per eccesso è più diffusa, con dati del 2016 che indicano che il 21,3% dei bambini italiani è in sovrappeso e il 9,3% è obeso. Sebbene si registri una lieve diminuzione rispetto al passato, il sovrappeso e l’obesità rimangono una problematica rilevante, soprattutto nelle regioni del Sud e del Centro del Paese.
Prima ancora di vedere la luce, il feto è influenzato da una complessa interazione di fattori che vanno ben oltre il solo patrimonio genetico. Studi pionieristici degli anni ’80 iniziarono a suggerire che le basi per la salute o la malattia in età adulta potessero essere gettate già nel grembo materno. Le recenti scoperte nell’ambito dell’epigenetica, soprattutto negli ultimi dieci anni, hanno approfondito questa prospettiva, evidenziando reprogrammazioni del genoma fetale durante il periodo intrauterino che possono predisporre a condizioni come ipertensione, obesità, diabete, insulino-resistenza e malattie cardiovascolari.
Tra i molteplici fattori che possono innescare queste riconfigurazioni genetiche, la malnutrizione materna gioca un ruolo chiave. Essa non solo può influenzare la crescita intrauterina in modo non conforme agli standard, ma aumenta anche il rischio di obesità e ipertensione nell’età adulta.
Le abitudini alimentari della madre, insieme a possibili alterazioni metaboliche, sembrano essere decisive nel determinare il rischio di obesità nel nascituro. Sia una dieta restrittiva che un eccesso calorico possono attivare cambiamenti epigenetici, gettando le basi per il futuro stato di salute del nascituro.
Ricerche epidemiologiche sull’uomo hanno collegato la denutrizione materna a limitazioni della crescita fetale, plasmando un “fenotipo parsimonioso” nella prole in età adulta. La malnutrizione durante lo sviluppo fetale sembra modulare la distribuzione di energia e nutrienti, privilegiando organi vitali come cuore e cervello a scapito di altri meno critici, come fegato e pancreas. Individui che hanno subito questa programmazione, se esposti a un eccesso calorico o a uno stile di vita sedentario in età adulta, possono manifestare una maggiore predisposizione all’accumulo di adipe e alle sue complicanze, quali malattie cardiovascolari e diabete.
Ulteriori indagini suggeriscono che queste modifiche epigenetiche, scaturite dalla dieta materna, possano essere trasmesse alle generazioni successive. Un esempio notevole risale alla Seconda guerra mondiale, durante la “carestia olandese”, quando donne sottoposte a restrizioni caloriche durante la gravidanza generarono neonati con peso inferiore alla media. Curiosamente, anche la generazione successiva, senza restrizioni alimentari particolari, mostrò un peso alla nascita inferiore alla norma.
Modelli alimentari hanno evidenziato che una dieta materna a basso contenuto proteico può tradursi in una prole con peso alla nascita ridotto e minor peso cerebrale. In questo contesto, la generazione successiva ha manifestato non solo deficit cognitivi ma anche un peso alla nascita inferiore alla media.
Altri fattori che possono predisporre all’obesità nel nascituro, influenzati dallo stile di vita della madre, comprendono un livello ridotto di attività fisica, il fumo durante la gravidanza, un aumento eccessivo del peso corporeo, il diabete gestazionale, un peso alla nascita elevato, un alto apporto proteico nella dieta materna, scarse ore di sonno durante la gravidanza e il parto cesareo.
La dieta paterna, come dimostrano vari studi, riveste un ruolo significativo nell’incidenza della salute e del benessere del nascituro. In particolare, osservazioni su topi maschi alimentati con una dieta ad alto contenuto di grassi hanno rivelato che la prole femminile risultante è predisposta allo sviluppo di condizioni simili al diabete, manifestando intolleranza al glucosio e insulino-resistenza. Sorprendentemente, questi effetti si verificano senza alterazioni evidenti nel peso o nel grasso corporeo.
Ulteriori indagini hanno evidenziato un cambiamento nel profilo genico legato alla secrezione di insulina nella prole, mettendo in luce il ruolo cruciale della dieta paterna nella corretta fisiologia delle cellule β del pancreas. Questi risultati sottolineano come le scelte alimentari del padre possano impattare non solo sulla sua salute, ma anche sulle future condizioni metaboliche della prole.
Queste scoperte offrono uno sguardo intrigante sulle complesse interazioni tra ambiente alimentare paterno e programmazione epigenetica, suggerendo che la responsabilità per la salute del nascituro non debba essere attribuita esclusivamente alla madre. Invece, entrambi i genitori, con le proprie abitudini alimentari, possono contribuire al contesto epigenetico in cui si sviluppa la prole, influenzando direttamente il suo destino metabolico.
Diversi fattori contribuiscono alla predisposizione all’aumento di peso in età pediatrica, tra cui:
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Consumo di alimenti complementari ricchi di zuccheri semplici al di sotto dei 4 mesi di vita: L’introduzione precoce di alimenti con elevato contenuto di zuccheri semplici prima dei 4 mesi di vita può influenzare negativamente le abitudini alimentari e il peso del bambino.
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Apporto proteico elevato dei latti in formula: Una quantità eccessiva di proteine nei latti in formula può essere correlata all’aumento del peso corporeo nei bambini.
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Utilizzo di antibiotici nei bambini con età inferiore ai 2 anni: Si ipotizza una connessione tra l’uso di antibiotici, le modifiche del microbiota intestinale e l’insorgenza di obesità in età pediatrica.
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Ipoalimentazione durante i primi anni di vita: La carenza nutrizionale nei primi anni di vita può aumentare il rischio di sovrappeso e obesità in età adulta, soprattutto nelle femmine.
È cruciale limitare il consumo di sale e zuccheri semplici in età evolutiva, anche se il loro consumo risulta spesso elevato tra i bambini. La preferenza per il dolce è considerata fisiologica poiché fornisce energia, mentre il sale contribuisce all’equilibrio elettrolitico corporeo.
Tra gli zuccheri, quelli aggiunti ai prodotti alimentari, insieme a quelli naturalmente presenti in alimenti come miele e succhi di frutta, possono contribuire all’aumento dell’apporto di carboidrati e al conseguente aumento di peso corporeo.
Nell’adolescenza, si aggiungono ulteriori fattori di rischio:
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Interferenti endocrini: La presenza di interferenti endocrini ambientali è associata positivamente all’aumento del BMI nei bambini di età compresa tra 5 e 11 anni.
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Costante disponibilità di alimenti ad elevata densità calorica o con un elevato apporto di zuccheri semplici: L’accesso continuo a cibi ad alta densità calorica, ricchi di zuccheri o ad alto indice glicemico semplici può contribuire all’eccesso calorico e all’aumento di peso.
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Sedentarietà e scarsa attività fisica: L’urbanizzazione crescente sembra limitare le opportunità di movimento, riducendo il dispendio energetico quotidiano e favorendo l’aumento di peso.
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Ridotta qualità e durata del sonno: Una qualità del sonno compromessa e una durata insufficiente sono associate a un aumento del rischio cardio-metabolico nei bambini e negli adolescenti.
Riconoscere e affrontare questi fattori è essenziale per promuovere uno stile di vita sano e prevenire l’obesità in età pediatrica.
Intervenire tempestivamente sull’obesità pediatrica è cruciale per vari motivi:
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Persistenza nell’età adulta: Bambini e adolescenti obesi tendono a rimanere in sovrappeso anche in età adulta.
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Aumentato rischio di malattie cardiovascolari e metaboliche: L’obesità durante l’adolescenza è associata a un maggior rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e metaboliche in età adulta, inclusi il diabete di tipo 2.
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Correlazione con il rischio di tumori maligni: Numerose evidenze scientifiche indicano una correlazione tra un indice di massa corporea (BMI) elevato durante l’adolescenza e un aumento del rischio di diverse forme di tumori maligni in età adulta, come leucemia, malattia di Hodgkin, cancro del colon-retto, cancro al seno, e altri.
L’intervento terapeutico sull’obesità pediatrica si basa principalmente sulla modifica delle abitudini di vita, con eventuali ricorsi a farmaci o alla chirurgia bariatrica, quest’ultima riservata a casi estremi dopo esaurimento di altre opzioni.
Il cambiamento dello stile di vita include un intervento sul comportamento e sulle abitudini alimentari, mirando a ridurre l’assunzione calorica e a modificare il contenuto di grassi e zuccheri nella dieta. In aggiunta, è fondamentale incrementare il livello di attività fisica.
Risultati più positivi si ottengono con interventi precoci, sottolineando l’importanza di agire tempestivamente. Inoltre, è interessante notare che le ragazze hanno maggiori probabilità di perdere peso con successo attraverso tali interventi. Questi approcci multidimensionali non solo mirano alla riduzione del peso corporeo, ma promuovono uno stile di vita sano e sostenibile nel lungo termine.